Il territorio
l territorio compreso tra Castiglioncello e la foce del fiume Cecina, per le sue caratteristiche climatiche e geografiche e per le sue risorse naturali, è da sempre una regione adatta all’insediamento umano e allo sviluppo di attività produttive: l’entroterra presenta fertili terreni pianeggianti affacciati sul mare e protetti dalle basse colline tipiche del paesaggio toscano; la costa offre numerosi scali naturali, grazie a un litorale variegato che va dalle scogliere rocciose agli arenili ghiaiosi o sabbiosi. Queste preziose caratteristiche ambientali, in aggiunta alle risorse naturali del luogo, furono quindi un’importante attrattiva per gli uomini fin dai tempi più remoti, che seppero ben sfruttare queste disponibilità traducendole in prosperità e sviluppo.
Uomo e ambiente
Le ricerche archeologiche di superficie, gli scavi stratigrafici, lo studio dei reperti e delle fonti scritte, le indagini diagnostiche di geofisica e telerilevamento hanno consentito di ripercorrere la storia delle civiltà che si sono succedute in queste zone lungo la linea del tempo.
Il territorio racchiuso entro i moderni limiti amministrativi del Comune di Rosignano Marittimo apparteneva anticamente in parte a Pisa e in parte a Volterra, metropoli etrusche divenute poi, municipi romani, che dominarono lungamente l’Etruria nord-occidentale.
Ma già a partire dalla più antica Età del Ferro gli uomini avevano saputo cogliere la varietà e la ricchezza delle risorse presenti sul territorio. E, ancora, in età tardo-antica e nel Medioevo, numerose testimonianze ci raccontano della presenza di insediamenti altamente coinvolti nelle attività e negli scambi commerciali.
Le caratteristiche geografiche e climatiche di questo territorio, la sua posizione e l’inesauribile ricchezza delle risorse naturali hanno reso quest’area, da sempre, luogo favorevole allo stanziamento dei popoli e punto strategico di sviluppo e prosperità.
Importante meta turistica e culturale, oggi questo territorio appare ancora uno dei luoghi più ricchi e variegati della nostra penisola.
I luoghi dell’Archeologia
Età preistorica e protostorica
In località Il Galafone, alla foce del Fine, è attestata la presenza di un insediamento sulle antiche dune di sabbia bruna che caratterizzano alcune aree del litorale. Lo scavo del sito ha permesso di recuperare una serie di reperti, in particolare frammenti di olle e contenitori di medie e grandi dimensioni decorati da cordonature prodotti localmente e barre refrattarie in ceramica usate come sostegno per i recipienti sul fuoco, che permettono di inquadrare cronologicamente l’insediamento tra la fine dell’età del Bronzo e l’inizio dell’età del Ferro (X-IX secolo a.C.).L’assenza di vasellame da mensa, di resti di fauna o di strumenti per le attività quotidiane fa presupporre che l’insediamento non fosse ad uso abitativo, ma legato a una lavorazione specializzata da associare verosimilmente all’ambito marino: la raccolta del sale.
Alla stessa epoca risale l’insediamento rinvenuto in località Mignattaia e nei livelli più antichi identificati nel sito archeologico di San Gaetano di Vada, laddove in epoca romana si svilupperà il quartiere portuale di Vada Volaterrana. Resti di argilla semicotta, con tracce di impressioni del tessuto vegetale che fungeva da parete per le capanne, e numerosi frammenti ceramici fanno supporre che nel sito fosse stanziato un abitato, probabilmente databile tra il IX e il VII secolo a.C., abbandonato in seguito all’innalzamento del livello del mare e alla successiva formazione di una laguna interna.
Età etrusca
A partire dal IV secolo, il territorio subì notevoli trasformazioni. Sia lungo la costa che nelle colline circostanti, l’aumento del popolamento rurale, il fiorire delle attività artigianali e le ricche necropoli (Castiglioncello, Pian dei Lupi, Vada) testimoniano uno sviluppo economico significativo e un’intensa attività commerciale. Quest’ultima era gestita attraverso una rete di porti e approdi situati nelle insenature naturali e alla foce dei fiumi. Alcune “fortezze d’altura” (Montecarvoli, Poggio alle Fate) sono probabilmente legate alle vicende belliche che terminarono con la conquista romana del territorio.
Nel corso dell’ultimo quarto del V secolo a.C., una nave mercantile naufragò vicino alla costa rocciosa di Calignaia, a nord di Castiglioncello. Il sito, conosciuto almeno dagli anni ’70, si trova a circa cento metri dalla riva e copre un’area piuttosto vasta, a una profondità compresa tra 15 e 30 metri.
Fin dagli anni ’70, il giacimento è stato oggetto di scavi clandestini. Secondo le informazioni raccolte dai pescatori locali, vennero trafugate dal sito 30 anfore, per la maggior parte integre, diversi lingotti di piombo (almeno 10 in una sola volta), un grande contenitore e alcuni vasi di piccole dimensioni. Nel 1982, un subacqueo livornese appassionato di archeologia effettuò un altro importante recupero di anfore etrusche nella stessa zona.
Nei primi anni 2000, un gruppo di subacquei, che poi formarono il Gruppo Archeologico Labronico, recuperò ulteriori materiali per preservare il giacimento da futuri saccheggi. Solo nel 2005 venne pubblicato il resoconto di queste attività, condotte senza autorizzazione, insieme a uno studio preliminare dei reperti, che furono consegnati alla Soprintendenza Archeologia della Toscana. Presso il Museo Archeologico di Rosignano sono conservati frammenti di numerose anfore vinarie etrusche, tra cui quattro quasi integre, due anfore vinarie di Marsiglia e un’anfora fenicio-punica. Inoltre, vi sono vasellame da mensa e frammenti di grandi contenitori per derrate alimentari (pithoi). Sul fondale della zona è stato avvistato un ceppo di ancora in pietra, lasciato in situ, forse legato al relitto etrusco.
Età tardo etrusca
A metà strada tra Castelnuovo della Misericordia e Nibbiaia, sulle prime pendici collinari affacciate sulla costa, sorge l’ampia zona contraddistinta dal toponimo “Pian dei Lupi”.
Il panorama, di suggestiva bellezza, è dominato dal Poggio di Montecarvoli (352 m s.l.m.) che, insieme alle alture circostanti, funge da spartiacque tra i torrenti che ad ovest si gettano nel Tirreno e ad est confluiscono nel fiume Fine.
Dal 2001, in seguito ad alcuni ritrovamenti occasionali avvenuti nel corso di lavori agricoli, sono state programmate ricerche sistematiche che, in tre campagne di scavi, hanno portato alla luce oltre 70 tombe databili tra gli inizi del III e la fine del II secolo a.C.
Si tratta, quasi esclusivamente, di tombe a incinerazione di tipo “a pozzetto”, talvolta coperte da una lastra in pietra locale appena sbozzata o da una tegola.
L’attribuzione della necropoli ad una gens aristocratica, suggerita dalla disposizione dei pozzetti, raggruppati all’interno di circoli, pare confermata anche dalla qualità e dalla ricchezza dei corredi della necropoli. I ritrovamenti, esposti al Museo Civico Archeologico di Rosignano Marittimo, sono perlopiù composti da vasellame da mensa, utensili e ornamenti in bronzo, ferro, argento e oro dai richiami costanti a una ben precisa ideologia funeraria, che trova nel banchetto e nella mentalità guerriera i suoi riferimenti ideali.
Nonostante sia rimasta sconosciuta la posizione esatta dell’insediamento abitativo di Pian dei Lupi, è comunque verosimile pensare che sia sorto nelle immediate vicinanze della necropoli, in un luogo che godeva di una posizione strategica a controllo del mare e a sorveglianza degli importanti assi viari che collegavano Roma a Pisa e ai centri costieri affacciati sul Tirreno.
Tale territorio appare quindi ampiamente inserito nei traffici commerciali dell’Italia tirrenica medio e tardo-repubblicana. Si può supporre che l’insediamento di Pian dei Lupi fosse inserito all’interno di un programma di occupazione del territorio e di recupero delle terre agricole promosso dalla città di Pisa, motivato dal crescente interesse commerciale verso gli sbocchi al mare. Allo stesso tempo, per la sua posizione collinare, è facile supporre che il centro svolgesse funzioni di controllo militare del territorio, inserendosi nel sistema difensivo che Pisa crea, sul finire del IV secolo a.C., nella porzione meridionale del suo territorio al confine con quello di Volterra, che aveva il suo caposaldo nell’insediamento costiero di Castiglioncello.
Tale valenza di presidio militare appare confermata anche dalla grande quantità di armi rinvenute nei corredi delle tombe maschili.
Come la vicina Castiglioncello, anche Pian dei Lupi non restituisce materiali posteriori agli inizi del I secolo a.C., confermando l’ipotesi secondo cui, con l’instaurarsi della pax romana, si affermarono nuove logiche insediative, legate agli orizzonti produttivi e commerciali che l’unificazione politica del Mediterraneo aveva aperto.
Luogo di straordinaria bellezza naturalistica, Castiglioncello gode di una posizione panoramica, affacciato su un promontorio lontano dalle grandi vie di comunicazione e indissolubilmente legato alla natura. Il centro ha una storia millenaria ma discontinua. Nato come avamposto militare a controllo del mare in epoca tardo-etrusca, sede di lussuose villae maritimae in età romana, e poi castello medievale, alternò fasi di sviluppo a lunghi periodi di abbandono. Nel ‘500, sul promontorio ormai completamente spopolato, Cosimo de’ Medici erige una torre di difesa marittima, presidiata da una piccola guarnigione, di fronte alla quale viene edificata una chiesetta dedicata a Sant’Andrea a uso dei militari e dei rari abitanti del circondario. Una decisa inversione di tendenza si avrà solo a partire dalla seconda metà dell’800, quando il critico d’arte fiorentino Diego Martelli eredita dal padre una vasta tenuta che si estende da Castiglioncello a Castelnuovo della Misericordia e la elegge a sua dimora preferita, ospitandovi a più riprese i Macchiaioli che immortaleranno nei loro quadri il paesaggio insieme rurale e selvaggio dell’epoca. Martelli immaginava per Castiglioncello uno sviluppo turistico verso il quale muove i primi passi, ma la sua scarsa capacità imprenditoriale gli impedirà di veder coronati i suoi sogni che verranno invece realizzati dal suo successore, Fausto Lazzaro Patrone, che ne acquista la proprietà e, grazie ad influenti amicizie e un maggior senso degli affari lancerà Castiglioncello come ambita meta turistica e culturale. La fortuna di Castiglioncello si consacrerà negli anni ‘60 del secolo scorso quando diverrà meta prediletta di vacanza e di otium di importanti intellettuali e protagonisti della cultura e soprattutto del cinema italiano.
I primi ritrovamenti
Nella prima metà dell’Ottocento, nei pressi della Torre Medicea di Castiglioncello, vennero alla luce reperti e armi d’epoca tardo-etrusca; in questo stesso luogo si rinvennero, anni dopo, anche materiali di corredi tombali dello stesso periodo, che andarono a costituire la collezione dell’artista e mecenate Diego Martelli, da lui stesso donata al Regio Museo Archeologico di Firenze. Questi ed altri rinvenimenti occasionali verificatisi agli inizi del Novecento, indussero l’allora Soprintendente alle Antichità dell’Etruria Luigi Adriano Milani ad intraprendere nel 1903 una campagna di scavi tra il Castello Patrone (oggi Castello Pasquini) e piazza della Vittoria, cui fecero seguito, tra il 1905 e il 1911, numerosi altri ritrovamenti effettuati nel corso degli imponenti lavori per la costruzione della ferrovia e il riassetto urbanistico della città. Gli scavi interessarono una grossa parte dell’odierno centro di Castiglioncello e portarono alla luce oltre trecento tombe databili tra la fine del IV e gli inizi del I secolo a.C. L’enorme mole di reperti rinvenuti spinse Milani a erigere un piccolo Museo nel territorio che conservasse i manufatti ritrovati; oggi possiamo ammirare il coronamento del suo sogno nel Museo Archeologico Nazionale di Castiglioncello, che ospita ancora la maggior parte di questi reperti.
Nascita del centro e della necropoli tardo-etrusca di Castiglioncello
Durante l’età etrusca, tra l’VIII e il V secolo a.C., il centro del popolamento della costa è costituito, oltre al territorio della città di Populonia, dalla valle del Cecina e dal tratto di costa posto immediatamente a sud della foce del fiume; in quest’area sono infatti noti gli insediamenti connessi a clan gentilizi che traevano la propria ricchezza oltre che dallo sfruttamento delle risorse agricole e, forse, minerarie, dal controllo dei traffici commerciali che dal mare percorrevano la via fluviale diretti verso Volterra e l’Etruria interna. L’area posta a nord del fiume Cecina appare invece estremamente marginale, come testimoniato dalla scarsità di ritrovamenti appartenenti a questo periodo storico. Dovremo attendere i secoli successivi per assistere alla crescita e al popolamento del territorio. Tra il IV e il III secolo a.C., infatti, a sud cresceva la potenza della città di Volterra, impegnata a espandersi verso la costa, popolando pian piano le campagne di piccoli villaggi rurali; a nord si estendeva il territorio della florida città di Pisa, anch’essa interessata all’espansione dei propri domini fino al litorale e a garantirsi il controllo degli approdi naturali. Entrambe potenti città etrusche, Pisa e Volterra erano entrate nell’orbita della crescente potenza romana, che aveva rivolto la sua attenzione all’Etruria settentrionale e, in particolar modo, alla costa dell’alto Tirreno per la sua posizione sempre più centrale nel controllo delle rotte commerciali – marittime e non – tra Roma e il resto dei territori appena caduti sotto il suo dominio. Invece che ostacolarne l’avanzata, sia le aristocrazie di Pisa che quelle di Volterra scelsero di schierarsi con Roma, stringendo rapporti che permisero la stabilità sociale della regione e il suo sviluppo economico per un lungo periodo di tempo. È in questa fase di “romanizzazione” (o di “acculturazione” in senso romano, come oggi si preferisce dire) che, al confine meridionale del territorio pisano, nasce il piccolo centro di Castiglioncello. La posizione strategica su un promontorio che domina la costa tirrenica, i suoi limiti cronologici che ne collocano la nascita nel momento in cui Roma muove alla conquista del Tirreno settentrionale e, non ultimi, l’abbondanza di armi e il costante richiamo alla mentalità guerriera delle tombe maschili hanno fatto ipotizzare che Castiglioncello costituisse un avamposto militare, fondato da Pisa, a guardia del mare e dell’importante asse viario che nel 241 a.C. diventò la Via Aurelia, la nuova via litoranea che collegava Roma ai centri costieri garantendo un più rapido rifornimento di truppe e di vettovaglie agli eserciti impegnati nelle guerre contro i Liguri. A fronte dei numerosi ritrovamenti funerari, che confermano la presenza di un’ampia necropoli, estremamente scarsi sono invece i resti dell’abitato. Un’area sacra potrebbe essere localizzata nella zona del Poggetto, dove, durante i lavori di sterro per la costruzione del Museo (1903-1911), vennero alla luce dei muri a secco, numerosi pesi da telaio, una conduttura di scarico in terracotta e un piano pavimentale con rivestimento idraulico, interpretati da Milani come i resti di un edificio sacro. Il recente rinvenimento ai piedi del Museo di un poderoso muro in opera poligonale parrebbero confermare questa ipotesi. Grazie alla presenza di due baie ben riparate, Castiglioncello dovette comunque svolgere anche la funzione di scalo commerciale marittimo di un certo rilievo, almeno fino allo sviluppo del sistema portuale di Vada Volaterrana. La necropoli cessa di essere utilizzata all’inizio del I secolo a.C: la creazione, tra il 115 e il 109 a.C. del nuovo raccordo stradale della via Aemilia Scauri, che passando dall’entroterra tagliava fuori il litorale, e il mutato quadro politico e territoriale contribuirono indubbiamente al rapido declino del centro. Castiglioncello, così come il resto del litorale, rimarrà per un periodo luogo di otium e di interesse dell’aristocrazia romana, come attestano i ruderi di alcune lussuose villae maritimae di età imperiale.
La necropoli si trovava a sud-est di Vada, lungo un percorso che collegava Vada a Belora e alla valle del Cecina. Tra gli anni ’50 e ’70 furono rinvenute diverse sepolture databili tra l’età medio-repubblicana e il III-IV secolo d.C. La maggior parte dei corredi è andata perduta.
Le tombe più antiche erano a camera o a incinerazione entro ziri, mentre quelle romane erano inumazioni “alla cappuccina” o entro anfora. Al museo è conservato solo il corredo di una tomba a camera rinvenuta nel 1973 durante lavori per cavi elettrici, scavata da Dino Agostini. La tomba era una piccola camera circolare con soffitto a volta, contenente oggetti di corredo su una banchina a due ripiani.
I materiali rinvenuti (ceramica acroma, a vernice nera e a pareti sottili, pochi oggetti in metallo) datano tra il II e I secolo a.C. e testimoniano i rapporti commerciali di Vada con Volterra, Etruria meridionale, Lazio, Campania e, in misura minore, con la Penisola Iberica. La tomba è attribuita a una famiglia modesta, probabilmente piccoli-medi proprietari terrieri, influenzata dall’ideologia aristocratica, rappresentata da grandi sepolcri gentilizi con urne cinerarie in alabastro.
Nel III sec. a.C. l’Etruria settentrionale cadde sotto il controllo di Roma. Con il II sec. a.C., il Mediterraneo occidentale divenne un “lago” romano, descritto dall’espressione “mare nostrum“. Le élites italiche si inserirono nei traffici commerciali, traendo profitti dalle guerre di Roma e dalla vendita di prodotti, soprattutto vino, nelle nuove province e territori confinanti.
Simbolo di questa fase è l’anfora greco-italica, utilizzata per il trasporto del vino prodotto in Campania, Lazio e Etruria meridionale. La rotta costiera verso la Gallia meridionale coinvolgeva anche Volterra e Pisa, con soste presso scali nord-etruschi per vendere e acquistare merci.
Alla fine del III sec. a.C., una nave naufragò presso le secche della Meloria, trasportando anfore greco-italiche e vasellame a vernice nera. Un secondo relitto, della prima metà del II sec. a.C., affondò tra la foce del Cecina e i promontori a nord di Castiglioncello, con anfore greco-italiche, contenitori per unguenti e ceramica a vernice nera.
Questi relitti testimoniano l’espansione del commercio del vino e delle ceramiche campane tra il 240 e il 220 a.C., diretti ai mercati del Mediterraneo occidentale e dei centri costieri del Tirreno e del Mar Ligure. Le coste e le isole dell’Etruria erano punti fondamentali per questi traffici, con scali commerciali come Castiglioncello.
Alla fine del II sec. a.C., il commercio tra Italia e Gallia aumentò con l’introduzione delle anfore Dressel 1, capaci di trasportare più vino. Un relitto con queste anfore naufragò presso la foce del Fine tra il II e il I sec. a.C. Il carico comprendeva Dressel 1, vasellame in bronzo e un lingotto di piombo prodotto in Spagna.
Età romana
Il quartiere retro-portuale scoperto a San Gaetano di Vada è composto da edifici utilizzati per la gestione e lo stoccaggio delle merci in transito nel sistema portuale di Volterra. Di particolare interesse è la presenza di un piccolo impianto termale destinato esclusivamente ai lavoratori (horrearii) del grande magazzino (con almeno 36 ambienti per lo stoccaggio delle merci), e la sede di un collegio professionale (schola), probabilmente legato al commercio del legname. I materiali rinvenuti coprono oltre sei secoli, dimostrando la vitalità del territorio volterrano nell’antichità.
Il tratto di mare tra Pisa e il promontorio di Baratti era parte di una rotta di cabotaggio che collegava l’Italia tirrenica con le province occidentali dell’Impero. Il principale porto marittimo di Pisa, Portus Pisanus, situato a nord di Livorno, fu attivo fino agli inizi del V secolo d.C.
Quest’area marina si è dimostrata ricca di rinvenimenti archeologici, databili dall’epoca etrusca arcaica (VI secolo a.C.) fino all’età moderna (Seconda Guerra Mondiale). Le insenature di Calafuria, Calignaia e il promontorio del Romito, tra Livorno e la costa di Calafuria, fornivano rifugio temporaneo alle imbarcazioni sorprese da condizioni avverse, come dimostrano i numerosi ceppi di ancora trovati sul fondale. Tuttavia, questo tratto di costa era anche pericoloso durante le tempeste, con imbarcazioni spinte sugli scogli dalle mareggiate e dai venti di ponente e libeccio.
L’insediamento di Castiglioncello, nato forse per esigenze difensive e per controllare il territorio al confine meridionale con Volterra, collegato alla viabilità terrestre dalla via Aurelia Vetus, divenne un centro marittimo vitale tra la fine del IV e gli inizi del I secolo a.C. A nord, gli scali marittimi potevano essere nella Baia del Quercetano, riparata dal libeccio, e a sud, presso la Baia di Portovecchio, difesa dai venti di maestrale. A sud del Fine, il sistema portuale, attivo sin dall’epoca etrusca e controllato da Volterra, aveva vari punti di approdo, con ancoraggi in rada da Capo Cavallo alla foce del fiume Cecina.
Vada Volaterrana, il principale centro costiero subito a sud di Portus Pisanus e dipendente da Volterra, viene descritto da Rutilio Namaziano nel 415 d.C., quando vi fece scalo durante il viaggio di ritorno da Roma verso la Gallia. Nelle acque di fronte a Castiglioncello sono state recuperate due ancore e quattro anfore databili all’età tardo imperiale, con la presenza segnalata di due dolia. A Portovecchio di Castiglioncello sono stati rinvenuti frammenti di anfore e ceramica databili tra il I e il VII secolo d.C.